Alla ricerca della propria solitudine. Di Beatrice Germinale
Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie
. Soldati, Ungaretti, 1918
Si sa, non tutti se la possono permettere: non se la possono permettere i vecchi, non se la possono permettere i malati. Non se la può permettere il politico: il politico solitario è un politico fottuto di solito. Però, sostanzialmente quando si può rimanere soli con se stessi, io credo che si riesca ad avere più facilmente contatto con il circostante, e il circostante non è fatto soltanto di nostri simili, direi che è fatto di tutto l’universo: dalla foglia che spunta di notte in un campo fino alle stelle.
E ci si riesce ad accordare meglio con questo circostante, si riesce a pensare meglio ai propri problemi, credo addirittura che si riescano a trovare anche delle migliori soluzioni, e, siccome siamo simili ai nostri simili credo che si possano trovare soluzioni anche per gli altri. Con questo non voglio fare nessun panegirico né dell’anacoretismo né dell’eremitaggio, non è che si debba fare gli eremiti, o gli anacoreti; è che ho constatato attraverso la mia esperienza di vita, ed è stata una vita (non è che dimostro di avere la mia età attraverso la carta d’identità), credo di averla vissuta; mi sono reso conto che un uomo solo non mi ha mai fatto paura, invece l’uomo organizzato mi ha sempre fatto molta paura. Elogio alla Solitudine, De Andrè.
Una riflessione teorica sugli aspetti critici psicologici della situazione pandemica è stata molto utile, da una parte perché mi ha spinta a ragionare sulla necessità dell'aiuto psicologico nelle situazioni di emergenza e alle conseguenze psicologiche e psicopatologiche che questa situazione ha attivato, d'altra parte, e forse, soprattutto, perché mi ha dato la possibilità di elaborare personalmente della condizione attraversata.
Questa stessa possibilità di elaborazione credo essere anche quella che la psicoterapia cerca di offrire ai pazienti e di trovare con i pazienti: risorse per pensare.
Ho organizzato il discorso attorno a un pensiero di stampo psicoanalitico partendo da due poesie: Soldati di Ungaretti ed Elogio alla solitudine di Fabrizio De Andrè.
Le ho trovate unite e collegate in una sorta di percorso che ha come inizio la condizione descritta da Ungaretti e come fine la possibilità di sperimentare la solitudine considerata condizione per potersi conoscere. E' un percorso che mi ha portato a paragonare il cammino che fanno i pazienti in psicoterapia e le persone nella situazione attuale.
In entrambi i percorsi si parte da una condizione di incertezza, di non-pensiero per poter arrivare, come meta finale, alla possibilità di sperimentare la propria individualità, di essere in grado di attivare quella "capacità negativa" che ci permette di dare senso ed equilibrio senza per forza trovare risposte, formulare interpretazioni e ipotesi e quindi, che ci permette di pensare e di conoscerci.
Arrivare a pensare, inteso come "lo sforzo di capire, comprendere la realtà, intuire la natura di sè o dell'altro", pensare come "esperienza emotiva di cercare di conoscere se stessi o qualcun altro" (O' Shaughnessy, 1995, p 204).
La conoscenza di se è qualcosa di emotivo, prevede un legame con sé o con l'altro che non è statico, e quindi implica la capacità di tollerare il dubbio e il continuo movimento.
La capacità negativa è la "capacità che un uomo possiede se sa perseverare nelle incertezze, attraverso i misteri e i dubbi, senza lasciarsi andare a una agitata ricerca di fatti e ragioni" (Keats, 1817 cit. in Bion, 1973). E' una capacità che permette di tollerare le deviazioni, i cambiamenti, la ricerca di soluzioni, restando se stessi; è una capacità che alimenta il desiderio di comprendere senza riempire uno spazio per sentire e per pensare (Schinaia, 2020).
I pazienti arrivano spesso non pensanti e con il terapeuta aprono delle possibilità di pensiero e di significati. Anche i cittadini si sono trovati in una condizione di incertezza e sgomento in cui è stato difficile organizzare il pensiero e in una situazione in cui hanno dovuto fare i conti con la propria insicurezza e solitudine. Tuttavia, se gestita con aiuti degli esperti, affrontata con i giusti mezzi e con l'uso della potente risorsa dell'immaginazione è potuta diventare un'occasione di incontro e di dialogo con il proprio Sè, di apertura, di significati nuovi e diversi; è potuta diventare un'occasione per sperimentare una nuova solitudine creativa e interiore.
Vedere l'immaginazione come "un'arma buona" da poter utilizzare in questa situazione (Lingiardi, 2020) mi ha fatto riflettere sul ruolo del terapeuta. Potrebbe essere forse quello di poter immaginare con il paziente, di dare la possibilità al paziente di immaginare e di immaginarsi? Immaginare anche di fronte a un vuoto, a uno sconosciuto inimmaginabile. Il percorso da una condizione di confusione che imprigiona a una di libertà di pensiero e di immaginazione sarà diverso da paziente a paziente così, come in questa situazione di emergenza, da persona a persona, e prenderà strade diverse, a volte scorciatoie, sarà rallentato da muri e difese o sarà affrontato anche con l'aiuto di altre persone. Come in terapia sarà un viaggio del tutto personale e straordinario.
La prima poesia "Soldati" di Giuseppe Ungaretti è stata utile per riflettere, non solo sul tema dell'incertezza, della caducità e del senso di fragilità dell'essere umano a cui siamo stati e siamo tutt'ora esposti (senso molto spesso dimenticato al giorno d'oggi da fantasie di onnipotenza e onniscienza), ma, in particolare, sul tema della condizione di universalizzazione e di fratellanza che stiamo vivendo. Così come i soldati di cui scrive Ungaretti, che al di là del fronte per il quale combattevano, erano uniti tutti dalla medesima sensazione, anche oggi di fronte al pericolo, nonostante differenze sociali, economiche, etniche, ci sentiamo tutti uguali, fragili e impotenti.
E forse è proprio questa universalizzazione che ha portato in alcuni pazienti una fonte di benessere: forse vedono un aspetto di parità con gli altri che li sta dando più forza o forse perchè non potendo esporsi all'esterno della propria casa non devono fare più così tanto i conti con le loro inadeguatezze?
Sulla scia della metafora che mi ha accompagnato nella riflessione un altro paragone è stato quello tra il virus che ci ha colpiti, invisibile, sconosciuto e pericoloso, e i segreti, gli impulsi invisibili, inconsci, sconosciuti e pericolosi da cui i pazienti, spesso, si nascondono o lottano.
Si tratta di un virus che attiva istanze mortifere così come il nostro inconscio e alcuni nostri ricordi ben nascosti e custoditi. E allo stesso modo, il paragone è stato immediato, tra i meccanismi di difesa che i pazienti mettono in atto di fronte a impulsi e stimoli inconsci pericolosi e dolorosi e i meccanismi di difesa che le persone hanno messo in atto di fronte all'attuale pericolo: intellettualizzazione, rimozione, diniego, scissione, isolamento degli affetti, negazione.
In entrambi i casi, psicoterapia e situazione pandemica, le difese sono personali, vengono messe in atto in modi differenti a seconda di come la persona possa stare meglio e convivere al meglio con la situazione pericolosa e distruttiva che si porta dentro o, in questo caso, che viene da fuori. Le difese aiutano a dare un senso a qualcosa di incomprensibile e a potersi collocare anche in posizioni scomode piuttosto che rimanere in una condizione di non-posizionamento. Anche i nostri pazienti preferiscono una posizione scomoda piuttosto che fare i conti con l'ignoto e l'invisibile.
Un altro aspetto collegato al tema dei meccanismi di difesa su cui riflettere, in una situazione di livello emergenziale mondiale e storico, è la questione del tempo; un tempo che sembra essersi fermato ma che in qualche modo ci ricorda ancora di più della sua ciclicità e della storia che si ripete: il nostro modo di rispondere, come collettività, a una minaccia quanto è antico? Quanto, inconsciamente, abbiamo dentro di noi già scritte le reazioni di fronte ai pericoli e all'ignoto?
Al di la dei sistemi motivazionali (Lichtemberg, 1996) e delle risposte che attingono anche alla sfera biologica e etologica insite dentro di noi (sistema attacco-fuga-freezing di fronte al pericolo) è interessante capire come pericoli, guerre, catastrofi naturali e pandemie già vissute nella storia dell'umanità vengano elaborate e come vengano inserite nell'inconscio della collettività essendo traumi che hanno colpito, appunto, la collettività. Non solo, ribadendo quanto sopra scritto sull'importanza dei meccanismi di difesa, è interessante riflettere anche su quanto, nelle difese e nelle elaborazioni personali di fronte a queste traumaticità, ci sia una risposta dettata da un inconscio collettivo e quanto ci sia una risposta dettata da un inconscio personale. Sono reazioni difensive nostre, "decise" individualmente o non abbiamo alcuna consapevolezza e potere? Come si intrecciano?
Per questo mi viene in mente il concetto di inconscio collettivo e di archetipi di Jung.
Gli archetipi sono "modelli funzionali innati costituenti nel loro insieme la natura umana” (Jung, 1974, p 274). Gli archetipi sono forme a priori, che si ritrovano in ogni cultura, sono dei simboli, dei principi senza contenuto, che animano e originano i comportamenti umani. Sono l'eredità genetica della psiche e si manifestano nell'inconscio collettivo attraverso le risposte automatiche che l'uomo continua a riproporre.
L'essere umano tende a non affrontare i temi che lasciano presagire una condizione di morte, in quanto non pensabile e astratta.
Non soltanto l'idea di morte ma anche l'idea di ignoto viene rifiutata come parte integrante della vita stessa, così come viene rifiutata qualsiasi possibilità di confronto con l'ignoto (Jung, 1979).
L'emergenza che stiamo vivendo ci ha posti di fronte alla morte (delle persone a noi care, dei nostri concittadini, e del pericolo per ognuno di noi) e di fronte all'idea di un "cosa succederà? come sarà il futuro prossimo?" (una non-idea, praticamente). La risposta della collettività ha assunto anche il carattere di quella che Jung definisce una sorta di "tipica" fuga, non soltanto istintiva ma, anche intellettuale a causa dell'angoscia che questo tema accompagna.
Si incomincia a scoprire la malattia mortale. Ma chi se ne preoccupa? L’Occidente è una nave che affonda, dove tutti ignorano la falla e lavorano assiduamente per rendere sempre più comoda la navigazione, e dove, quindi, non si vuol discutere che di problemi immediati, e si riconosce un senso ai problemi solo se già si intravedono le specifiche tecniche risolutorie. Ma la vera salute non sopraggiunge forse perché si è capaci di scoprire la vera malattia? (Severino, 1972 pag. 313)
Quanto diventa necessario, così come in terapia, che ognuno di noi, che la collettività, possa affrontare e abbia la possibilità di pensare attivamente all'ignoto e alla rappresentazione mortifera che lo accompagna? Come riappropriarci di spinte inconsce che tendono a farci "fuggire" dalla situazione? A questo proposito James Hillman (1989), riprendendo la teoria degli archetipi di Jung, propone l'idea di come gli archetipi possano impossessarsi della nostre psiche e, per questo, di quanto sia importante conoscerli per diventarne consapevi e non più vittime impotenti e intrappolate.
L'archetipo dell'ignoto e del vuoto, che il coronavirus sembra incarnare, porta le persone a cristallizzarsi nella paura e nell'angoscia. Il coronavirus, oltre che rischio e pericolo reale di malattia, porta con sé l'idea di "un attentato all'esserci di ognuno". Per non vivere assoggettati e incastrati dentro questa idea è necessario, così come in terapia, esplorare l'origine di comportamenti, pensieri, emozioni ed esplorarsi. In questo modo si potrà attivare un processo di consapevolezza di elementi incoerenti tra loro e, di conseguenza, attiva consapevolezza.
“Se è vero che l’essere umano, come la natura aborrisce il vuoto, non può tollerare lo spazio vuoto,
cercherà di riempirlo trovando qualcosa che occupi quello spazio presentato dalla sua ignoranza. L’intolleranza della frustrazione, il disagio di sentirsi ignoranti, di avere uno spazio che non è riempito, può stimolare un desiderio precoce e prematuro di riempire lo spazio. [...]
La questione è se le paramnesie, le risposte che sono immediatamente comprensibili, quelle che possono essere usate per riempire lo spazio della nostra ignoranza, ci portano fuori strada verso un pericolo estremo se i poteri della mente umana sono pari alla sua distruttività” (Bion, 1987, pp. 231-232) Mantenere all'interno del proprio sé la consapevolezza di elementi tra loro incoerenti significa saper affrontare e accettare l'incertezza e la complessità della vita. Bion si chiede se illudendosi di poter governare quello che non è completamente governabile, di trovare il conosciuto nello sconosciuto, il pensabile nell'impensabile, l'uomo non rischi di rimanere incastrato nell’angoscia e di allontanarsi dalla reale soluzione dei problemi.
Il pericolo attuale ci fa ricordare e prendere consapevolezza di chi siamo, ci mette davanti alla realtà dell'archetipo della fine, l’archetipo della morte. Questo ricordarci che siamo tutti, universalmente, vittime dovrebbe anche farci riflettere sulla nostra storia in quanto collettività umana: in emergenza, infatti, attivare le memorie storiche procedurali ci permette di essere attenti al presente e di interrogarci sul futuro. La dimensione del passato è fondamentale per l'equilibrio psichico (Sbattella, 2020).
Dal punto di vista dell'individuo e della singolarità, è stato utile rimanere nella metafora della terapia per poter dare senso a questa situazione: i decreti e le regole da rispettare posso essere visti come il "setting" in psicoterapia, siamo in gradi di rispettarli? Come siamo stati dentro queste regole? Le mura di casa, invece, come le quattro mura della stanza di analisi; come siamo stati dentro queste mura? Come ci siamo potuti esprimere all'interno della nostra casa? Allo stesso modo come si può esprimere il dolore e il paziente che porta il dolore dentro la stanza di analisi? C'è chi ha pianto, chi si è chiuso in se stesso, chi ha cucinato, chi ha ballato e cantato, chi ha letto, chi ha finalmente preso contatto con se stesso. Anche i nostri pazienti in stanza possono piangere, ridere, stare in silenzio, riempire di parole e di contenuti, sognare.
Esprimere la sofferenza dentro al setting, dentro la psicoterapia non è facile, ma già il fatto di essere portati a considerare delle possibilità di espressione è un primo importante punto di partenza. La fantasia, la creatività che sperimenta nuovi scenari e soluzioni che ancora non abbiamo, i sogni, le memorie sono risorse importanti, sono la vera resilienza. Secondo Lingiardi (2020) memoria del passato e immaginazione nel presente sono le chiavi necessarie per lavorare in emergenza. L'aprirsi al pensare o al trovare nuovi significati per vedere la realtà può aiutare la persona sofferente. Anche in questo periodo di isolamento il pensiero può diventare ciò che aiuta: può farci passare da una condizione di solitudine negativa a una condizione di solitudine creativa, aperta.
"La solitudine interiore rinasce sulla scia di esigenze portatrici di riflessione e di meditazione, di speranza e di serenità" (Borgna, 2017, p 12)
La terapia e il terapeuta possono portare il paziente a sperimentare una solitudine perduta grazie alla quale possa riscoprirsi e prendere consapevolezza di chi è. Anche l'isolamento forzato e la situazione di incertezza vissuta attualmente hanno potuto darci questa possibilità: il passaggio da una solitudine sconosciuta e dolorosa a una solitudine creatrice e interiore. La solitudine, quando non è statica e pietrificata in un radicale isolamento, ci consente di scendere nella profondità della nostra interiorità, e di riconoscere i motivi delle nostre paure e scoprire quanto, a volte, siano immotivate. "E' solo nell'essere creativo che l'individuo scopre il Sé" (Winnicott, 1971, pag 102)
Può diventare una solitudine aperta alla solidarietà e al colloquio interiore: un'esperienza che sorpassa i limiti dell'esperienza individuale e che ci porta al di fuori dei confini del nostro io. Come De Andrè riesce a esprimere in maniera così pulita e essenziale, con la solitudine possiamo accorgerci del circostante. Possiamo aprirci al mondo delle persone e delle cose. La solitudine interiore e creativa porta con sé il desiderio e la nostalgia di mantenersi in una relazione significativa con l'Altro, e si creano e realizzano valori interpersonali e comunitari (è stato significativo vedere quante persone in questo periodo si siano mosse per la comunità con opere di volontariato, carità o semplice gentilezza).
Sarei forse più sola
senza la mia solitudine (Dickinson, 1998)
E' una solitudine che forse, senza questo periodo di isolamento, non avremmo mai provato a cercare. La quarantena, tuttavia, adesso è terminata. La terapia anche. E quindi mi chiedo: cosa si porteranno dietro le persone da questa esperienza di solitudine? Cosa si portano i pazienti usciti dalla stanza e dalla terapia? Questa paura e incertezza di fronte alla vita che abbiamo provato non dovrebbe passare invano, senza lasciarsi dietro un cambiamento.
“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” (Calvino, 1972, p. 164)
Bibliografia
Bion, W. R., Turbolenza emotiva, in Seminari clinici. Brasilia e San Paolo, Cortina, Milano 1987
Borgna E., La solitudine dell'anima, Feltrinelli editore, 2017
Calvino, I., Le città invisibili, Mondadori Milano, 1972.
Dickinson E., Tutte le poesie, a cura di Bulgheroni M., Mondadori Milano, 1998
Hilmann J., Anima, anatomia di una nozione personificata, Adelphi, 1989
Jung C. C., Riflessioni teoriche sull'essenza della psiche in opere, vol 5, Bollati Boringhieri Torino, 1974
Jung C.C, Anima e morte, Bollati Boringhieri Torino, 1978
Keats J., Lettera a George e a Thomas Keats, 21.12.1817, cit da Bion, Attenzione e interpretazione, Basic book, 1970
Lichtemberg J, D,. Psicoanalisi e I sistemi motivazionali, Raffaello Cortina editore, 1996
Lingiardi V., Pensieri clinici della quarantena, Seminari di psicologia, 2020
Schinaia C., La psicoanalisi all'epoca del coronavirus, 2020
Severino E., Essenza del nichilismo. Saggi, Padeia, Brescia, 1972
Spillius E. B., Melanie Klein e il suo impatto sulla psicoanalisi oggi, Casa editrice Astrolabio, 1995
Winnicott D. W. (1971), Gioco e realtà, Armando, Roma, 1974