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Identità di confine: un adolescente meticcio - Varchi n. 18

di Valentina Donato

Sapere dov’è l’identità 
è una domanda senza risposta.
José Saramago

 “Mia madre pensa che io sia un’altra persona, ed è così, a casa sono K. ma quando sono fuori con gli amici, io devo essere un altro. È così che deve andare. Se mia madre sapesse le verrebbe un infarto”.“Credi che disapproverebbe?”. “Sì, ne ho fatte di cazzate e non è stato facile, ma io non mi faccio tirare in mezzo, so quando fermarmi, so cosa mi gioco”. “Cosa?” “Lo stare male... però non posso lasciare tutto... anche quello sono io” (Giugno 2015).
“Non sa quanto vorrei avere la pelle nera, come mia madre e i miei fratelli. Io sono un fantasma, così bianco. Io non mi sento italiano, sono cresciuto tra ecuadoriani. Quello conta, io sono sudamericano”(Settembre 2016).

“Lei non può capire, con la magia io so cosa sta per capitare. Pensi a come starebbe meglio se sapesse che da qui a poco le capitasse qualcosa. Qui si parla ok è importante, ma la magia è potente” (Novembre 2016).
“18 anni, non mi cambia nulla, mi interessa solo prendere la patente... Votare? Mi danno un documento, c’è scritto che sono italiano ma lo dicono loro e mio padre...!” (Dicembre 2016, ultima seduta da minorenne).
Da Novembre 2014 seguo K., un ragazzo arrivato a sedici anni in seguito a un’altra consultazione secondo la quale gli sarebbe stato diagnosticato un disturbo di panico. K. è figlio di una coppia mista: sua mamma ecuadoriana è in Italia con i suoi tre figli da vent’anni, reduce da un altro matrimonio, è immigrata per cercare di stare meglio dopo una relazione violenta con l’ex marito. Estremamente religiosa, spigliata e legata alla famiglia, conosce e sposa quello che diventerà il padre di K., molto chiuso e riservato, anche lui reduce da un altro matrimonio, ma senza figli.
Fin dai primi colloqui si concretizza la domanda rispetto a quanto la mamma di K. abbia strutturato la vita del figlio secondo i propri codici affettivi e culturali, e quanto abbia cercato di integrarli con quelli di suo marito. Quali distanze si sono venute a creare nella vita quotidiana e simbolica del figlio tra la cultura d’origine materna e quella del padre? In un periodo critico come quello dell’adolescenza, all’interno delle dinamiche familiari di entrambi i genitori, è interessante chiedersi quali siano stati i vantaggi primari e secondari e quali cambiamenti abbia apportato una cultura di appartenenza con quella di arrivo: in questo trueque cultural quali siano state le fantasie e le aspettative future legate alla famiglia allargata.
Il senso di incertezza, di inquietudine, a volte di angoscia che pervade la vita interiore dell’adolescente non scaturisce solo dagli eventi più o meno traumatici che ha vissuto nel corso dell’infanzia. È l’inquietudine che ha radici nel passato ma che trae alimento soprattutto nel presente, quando si fanno più forti sia il desiderio che la paura di crescere. Il percorso di crescita risulta quasi inevitabilmente più problematico per chi non ha come punto di partenza un’infanzia con delle basi sicure, secondo il pensiero dello psicanalista inglese Bowlby, da cui staccarsi per affrontare rischi e incognite future.
Una sicurezza che manca a chi ha subito troppe privazioni, a chi, come K., si è sentito troppo spesso solo, non accettato, dimenticato.
Pietropolli Charmet parla di nuovi narcisi (2008) riferendosi agli adolescenti di oggi e di quanto sia fondamentale per loro potersi rispecchiare nel consenso del gruppo e nell’affetto della madre o delle figure di riferimento; si esaltano o si avviliscono per una valutazione connotata positivamente o negativamente della loro stessa persona.
Questo processo per K., a mio parere, è stato maggiormente complicato: si è trovato ad essere un brutto anatroccolo bianco, in una famiglia dalla pelle scura. Se già il processo di individuazione e separazione diviene uno dei nodi più difficili da affrontare durante l’adolescenza, la rilevanza culturale e l’appartenenza a una data etnia accentuano la difficoltà, nel momento in cui due mondi sono contrapposti e non integrati nel Sé interno dell’adolescente.
Una delle imprese principali dell’adolescenza infatti è rappresentata dal crearsi una identità propria che affonda le sue radici nelle origini e nei modelli di identificazione riconoscibili all’interno della propria famiglia o nel contesto più ampio della scuola e della comunità di riferimento; attraverso la pubertà il bambino lascia lo spazio a quello che sarà il futuro adulto, connotato quindi di usi, costumi e valori della cultura di riferimento. In questo periodo quanto avvenuto nei primi mesi di vita riaffiora attraverso un nuovo processo di separazione-individuazione nei confronti della madre o di quelli che per l’adolescente sono considerati oggetti interni costanti.
Se durante l’infanzia il bambino si allontanava e avvicinava fisicamente ai suoi oggetti d’amore, ora l’adolescente agisce a livello psicologico al fine di creare un Sé stabile: per quanto riguarda K., il rifiuto per la cultura italiana, rappresentata esclusivamente dal padre, assente e apparentemente disinteressato, ha certamente incentivato un movimento di disinvestimento affettivo riguardante sia elementi esterni, come appunto il padre, sia elementi interni, come il proprio Sé infantile, in un processo che confina con l’abbandono e il rifiuto.
A livello intrapsichico tali processi di disinvestimento e reinvestimento corrispondono non solo a spostamenti continui, di separazione e riavvicinamento nei confronti degli oggetti d’amore infantili, ma anche di parti di Sé che vengono disinvestite a favore di altre parti; tutto ciò determina appunto sentimenti di perdita e continui cambiamenti nei vissuti dell’immagine di se stessi e quindi della propria identità. Come afferma Senise il rapporto con se stessi muta e, da una situazione in cui il Sé era investito soprattutto attraverso l’immagine che al bambino veniva trasmessa dai genitori, l’Io adolescente deve riuscire ora a investire se stesso in proprio e non più tramite l’immagine dei genitori.
A causa della migrazione, gli adolescenti meticci non possono contare su tali riti di passaggio e sulla loro funzione di assorbimento del trauma, non hanno una guida che li conduca nella loro nuova realtà; l’inversione generazionale che si trovano a vivere crea loro problemi di filiazione, affiliazione e identità. 
Per un adolescente meticcio la prima esperienza di rottura con la propria cultura di origine inizia probabilmente nel momento in cui avverte la necessità di avviare quel processo di distacco dagli adulti di riferimento che lo porterà a diventare un individuo autonomo.
Emerge però il desiderio di conoscere a fondo la propria cultura di origine, per giungere ad una scelta consapevole della propria identità.
L’ambivalenza con cui gli adolescenti guardano alla propria cultura di origine si riflette anche nel modo in cui essi si accostano alla cultura ospitante, vissuta come ostacolante e discriminante, ma al tempo stesso densa di opportunità da spendere in futuro.
Si può pensare a una posizione di alternanza nei confronti delle due culture e delle due diverse identità che spesso per gli adolescenti può diventare funzionale ai compiti e agli interessi emergenti nei diversi contesti e nelle diverse situazioni: K. è ecuadoriano a casa con sua madre, italiano con gli amici di scuola e sport, nuovamente ecuadoriano nei vicoli il venerdì sera, etc.., riuscendo davvero ad alternare i suoi sé molteplici a suo piacimento, quasi mettesse o togliesse una maschera ogni volta.
Credo possa essere riduttivo però confrontare una identità culturale con un’altra: in un ottica in cui l’identità è unica, non frammentata, entrambe o più identità possono convivere nella stessa persona. Secondo gli studi di Mancini (2006), oltre all’alternanza di due riferimenti culturali, la doppia identità degli adolescenti può anche essere un prodotto completamente nuovo, generato dalla completa fusione dei due universi culturali. È in questo caso che si può parlare di identità ricreate; esse implicano una posizione interna alle due culture e la costituzione di una proposta identitaria che è frutto di una vera e propria negoziazione degli aspetti trasversali dei due sistemi di valori e credenze.
Fattori che possono incidere sul processo di negoziazione dell’identità culturale degli adolescenti possono essere i modelli di socializzazione familiare, gli atteggiamenti assunti dalla famiglia nei confronti della difese delle proprie tradizioni culturali e gli stili di acculturazione da esse adottate, ovvero il grado di distanza culturale.
La famiglia di K. appare ben inserita nel contesto sociale italiano, ma la prevalenza delle loro relazioni si articola attorno alla comunità ecuadoriana genovese, con la quale frequenta i riti religiosi e le feste tradizionali e i rapporti di famiglie allargate: lo stesso K. descrive bambini e ragazzi che sente come cugini di sangue, perché ha condiviso con loro momenti importanti della crescita. Il padre di K., che non ha molte relazioni con la sua esigua famiglia di origine, partecipa alla vita della componente ecuadoriana, senza rimanere in disparte ma ugualmente sentendosi in parte lo straniero. Dal punto di vista identitario K. si sente sudamericano: apparentemente non vede alternativa di integrazione reale, ma solo funzionale.
Trovo interessante come attualmente l’Ecuador si definisca come uno “Stato pluriculturale e multietnico”, e riconosca “l’esistenza e i diritti dei popoli indigeni e afroecuadoriani”.
Tuttavia, pare consolidata a livello popolare una sorta di topografia morale su base razziale, per cui i blanco-mestizos sarebbero gli incaricati di modernizzare e civilizzare la società: questo processo, chiamato di mestizaje o blanqueamiento, consiste nel progressivo abbandono delle caratteristiche di identità etnica, quali lingua e costumi, in funzione di un’omologazione al modo di vivere dei mestizos, che soprattutto nel contesto urbano stanno sempre più assimilando i modelli e gli ideali proposti dal mondo occidentale. In questo contesto l’essere blanco assume connotazioni sempre più positive, perché associato al benessere socio economico e all’istruzione; gli indigeni subiscono frequenti e pesanti discriminazioni, probabilmente perché a cominciare dalla lingua e dai vestiti tradizionali, incarnano una realtà culturale che, oltre ad essere considerata dall’epoca coloniale come inferiore, risulta oggi troppo differente da quella dominante. Un mondo al contrario, rispetto alle convinzioni identitarie di K.: cosa capiterebbe se tornasse in Equador e scoprisse che è lui a essere il migliore e non l’emarginato?
Studi cross-culturali (Mancini, 2006) hanno dimostrato come le differenze riscontrabili tra due orientamenti culturali e l’impatto di tali differenze possano creare difficoltà nella costruzione dell’immagine di sé. Per effetto di una duplice appartenenza, gli adolescenti costruiscono una rappresentazione di se stessi al tempo stesso interdipendente e autonoma, alla ricerca della propria individuazione. È plausibile ipotizzare come possano crearsi dei veri e propri processi di negoziazione dell’identità culturale, influenzati però dalla reale possibilità di riconoscimento simbolico e oggettivo presenti all’interno del contesto in cui ci si trova a vivere, dalla distanza culturale creatasi, e soprattutto dalla restituzione valoriale della famiglia interculturale di appartenenza.

Bibliografia

Aliprandi M., Pelanda E., Senise T., 1990, Psicoterapia breve di individuazione, Milano, Edizione Feltrinelli.
Mancini T., 2006, Psicologia dell’identità etnica. Sé e appartenenze culturali, Roma, Ed. Carocci.
Pietropolli Charmet G., 2008, Fragile e spavaldo, Bari, Ed. Laterza.

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